La città in questione ha una baia grande e piena di barche, di navi di ogni dimensione. A un lembo della baia spiccano quartieri alti di belle ville, nell’altro il porto, la città con i suoi palazzi alti con alcune cuspidi dorate, pareti vetrate, qualche falso galeone che vuole apparire del millesettecento, tanti impianti sportivi nel frontemare, una passeggiata pavimentata di assi in legno.
Tutti, ma proprio tutti hanno le macchine grandi. I furgoni da lavoro hanno dettagli in ottone e scritte con caratteri che ti aspettavi nella diligenza del film western. La città è tranquilla, pochissimi senzatetto apparenti, una sapiente interpolazione di Europa e degli Stati Uniti che vedi nei film. I tombini della metropolitana emettono vapori che si condensano, sembrano smunte colonne di fumo nel bel mezzo della strada.
Nell’hotel lo spazio è sfruttato al millimetro. Ho una camera microscopica ma non sembra tale, fuori dalla finestra le scale antincendio. L’accento delle persone è anche quello sapiente interpolazione, tranne qualche vocale allargata in posti che non ti aspetti, harbour che suona HABBA. Il piatto del posto è una vellutata spessa e pannosa a base di crostacei, mi ci tufferei e ci farei quattro bracciate.
Le porzioni sono grandi o grandissime solo in alcuni posti. Ho imparato a schivare l’espresso come la morte e la mattina mi trovo una tazzona di caffellatte al latte di mandorla e un biscottone all’avena buono che è grande come una ruota di carro. Nei locali passano ogni tanto a rabboccarti il bicchiere con acqua ghiacciata.
Il parco è bellissimo, ti perdi nel verde. Ogni tanto attraversi fazzoletti di terra pieni di lapidi dove gli scoiattoli fanno parkour. Camminare per smaltire il jet lag, camminare tanto, perdersi e ritrovarsi mentre barche con le ruote piene di turisti attraversano i viali della città.
In farmacia vendono gli ombrelli, i cerotti per i piedi, ogni possibile medicinale o integratore a forma di caramella gommosa. A China town i negozi sono carissimi.
Il quartiere italiano è a nord, vicino alla baia. Hanno festoni fatti con i fili glitterati dell’albero di natale, c’è una processione che rispetto alle nostre va al doppio della velocità. Le strade piene, le borse ispezionate affinché nessuno porti agli. La strada odora di aglio e olio e peperoncino fatto con un’intera testa d’aglio. Tutti i manicaretti italiani hanno un moltiplicatore due, in taglia, in intensità, in colori. Sembra che sia un universo amplificato su tutto.
La televisione la notte trasmette alcune televendite che metto per conciliare il sonno. Il canale meteo è spettacolare, ti fa la lista di tutte le temperature reali e percepite degli aeroporti più minuscoli, girando il globo attorno ai vari stati a stelle e strisce della costa est.
A lavoro tutti i giovani hanno responsabilità e fanno cose incredibili e tutto va veloce.
I laboratori sono ordinati e sbrilluccicano, sono palazzoni enormi pieni di apparecchiature incredibili.
Nel fiume verde sfilano canoe, barche. Accanto dei prati verdi tenuti benissimo. C’è anche una parte del fiume piena di ninfee. Pare che ci sia un robottino che raccoglie le plastiche, però non l’ho visto.
Il vento dell’oceano raffresca e in giacca si sta bene.
L’aeroporto è sporchino, fatichi a trovare sedili non sbriciolati. Hanno apparecchiature bellissime per velocizzare il controllo passaporti e bagagli a mano. Però ti devi togliere le scarpe per passare il portale che ti scannerizza.
L’aereo vola sulla baia e i palazzi alti brillano nel sole.