Quando finisce la logopedia del figlio ci si dice “Che figata! Siam tornati alla normalità.”
Non è esattamente vero.
Non è vero perché un figlio che ha avuto un ritardo del linguaggio, anche se ha recuperato agli occhi dell’equipe, è un puzzle con dei pezzi mancanti. Mancano parole, concetti, metafore che magari ha incontrato in precedenza, ma allora non era pronto per coglierle, per farle sue. Mancano parole che prima non ha avuto modo e interesse di chiederti “Cosa vuol dire?”. Mancano tempi verbali, che guarda caso sono usuali nella narrazione.
A settembre la maestra di italiano era allarmata: mancano pezzi nella comprensione del testo. Scava scava, cerca di capire la cosa, noi due genitori assorti. Il Piccolo non capiva il passato remoto, si perdeva interi pezzi delle storie.
E allora vai, pane amore e verbi. Cerchiamo di rendere il compito giocoso. Il Piccolo è un ometto sistematico, se gli dai i modi per classificare il linguaggio poi va alla grande. Un po’ di sforzo per entrare nella routine del gioco, “Ora mi dici il verbo riposarsi, passato presente e futuro”.
Il Piccolo tutto l’intuito ce l’ha per la matematica, in quello è un vero fulmine, molto avanti agli altri. Ma per il linguaggio bisogna spiegargli tutto, lui costruisce da basi sicure, non indovina, non fa neanche finta.
Ai colloqui successivi ci dicono: “La comprensione del testo è molto migliorata! Ma la lettura non è ancora fluida, bisogna lavorarci tanto. E anche l’espressione.”
Nuova sfida, nuovi partenti. Altro gioco da fare. E poi, anche l’espressione orale affiniamola.
Il Piccolo segue, a volte brontola, a volte s’offende perché lui vorrebbe essere perfetto e fare tutto con facilità, come per la matematica. E ogni volta son musi lunghi e riconciliazioni. Si va avanti a strappi, ma si procede.
Per questo, mio caro ortodontista, sospendiamo la cura. Non ce ne frega una mazza di mettergli una museruola di gomma il maggior numero di ore possibile, perché le file di denti siano splendidamente allineate. Non è il momento ora. Dobbiamo farlo parlar tanto, e andare ancora a caccia delle parole mancanti. Finché c’è forza. Finché si ha tempo.